Biografia
Don Vito Staffieri, all’anagrafe Vito, Donato, Cipriano, Emanuele, nasce a Matera il 10 maggio 1885 e muore all’età di 106 anni il 5 agosto 1991. Attualmente il corpo riposa nel “Cimitero vecchio” di Matera. Primo di cinque figli di Nicola Antonio Staffieri e Angela Staffieri. Il soprannome della famiglia era “Paradiso”, per indicare il benessere della famiglia, ma anche l’essere di indole gentile e disponibile.
Don Vito scelse di entrare nel seminario arcivescovile di Matera e il 16 luglio del 1911 viene ordinato sacerdote.
Da subito riceve l’incarico di confessore presso San Rocco e Ospedale, San Francesco Assisi, Santa Chiara e Santa Lucia. Oltre al rettorato di Santa Lucia, diviene cappellano delle Suore di Sant’Anna (ospedale) e delle Riparatrici del Sacro Cuore e assistente d’Azione Cattolica Giovani.
Appena ordinato sacerdote gli fu affidata la rettoria della chiesa di Santa Chiara. Qui operò instancabilmente innovando il culto e la devozione verso la Madonna del Carmine e avviò il catechismo. Reclutò i ragazzi dei rioni che sostavano nelle piazzette per tutto il giorno. A fine catechismo don Vito regalava a ciascuno una caramella: in quegli anni di povertà una caramella era una ricchezza per i ragazzi.
Già da allora aveva introdotto l’abitudine di riunire alla sera, a conclusione del giorno, le famiglie del vicinato per la recita del Santo Rosario.
Reclutato nella prima Grande Guerra dal 1916 al 1919 e giovanissimo sacerdote fu soldato di sanità a servizio degli ospedali militari di Altamura, Bari, Canosa e di Salonicco, esperienza che gli provocò una totale sordità.
Fu incaricato dall’Arcivescovo dell’epoca di occuparsi presso la Cattedrale di Matera della formazione e del sostegno spirituale dei giovani sacerdoti. Furono da lui guidati, sostenuti: don Pietro Tataranni, don Vito Fontana, padre Alba, don Giacinto Paolicelli, don Felice D’Ercole.
In Cattedrale trascorreva il suo tempo libero sempre in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento.
Divenne il confessore personale di Mons. Cavalla che nel 1949 lo elesse rettore di Santa Lucia, luogo in cui vi era già la pratica dell’esposizione quotidiana del S.S. Sacramento. Le Suore Benedettine si erano trasferite il 24 marzo 1797 nella chiesa di Santa Lucia e vi rimasero fino al 1938, anno della morte dell’ultima conversa.
Soppresso il monastero dalle leggi eversive italiane postunitarie, la chiesa di Santa Lucia era caduta in disuso e qui inizia la missione di don Vito: riportare alla luce la chiesa di Santa Lucia. Fu sostenuto da alcuni collaboratori: don Salvatore Del Giudice prima e poi da don Franco Conese e nel 1951 si aggiunse anche il novello sacerdote don Damiano Lionetti.
Si privò dell’abitazione paterna di salita Castelvecchio per poter ristrutturare la chiesa di Santa Lucia e giunsero anche una serie di donazioni per lo scopo: nel 1956 fu riaperta la chiesa di Santa Lucia e fu dichiarata dal nuovo Arcivescovo, Mons. Palombella, “Santuario Eucaristico e Centro Diocesano della Adorazione Perpetua”. Da quel momento in poi, Don Vito decise di trasferirsi nella rettoria annessa alla chiesa e vi trascorse la sua esistenza fino alla morte.
Il progetto più grande a cui si dedicò fu la “Cittadella” della umana e cristiana fraternità, il Villino del sollievo, che avrebbe accolto poveri e bisognosi. Con le offerte di denaro raccolte riuscì a comprare un pezzo di terra sterile sulle murge dove sarebbe sorta la Cittadella. L’ opera è rimasta incompiuta e quel terreno è memoria del luogo delle preghiere rivolte da don Vito al Signore in ginocchio con il capo chino e con il rosario nelle mani.